28 novembre 2006

L' IMPORTANTE E' PARTECIPARE

Camminando per Madrid una mattina mi sono imbattuto in un manifesto che pubblicizzava una bevanda energetica. Lo slogan si può tradurre in italiano è + o – così:
"Chi ti dice che l’importante è partecipare non ha mai vinto niente".
Devo dire che la frase mi ha fatto molto riflettere, perché è sintomatica della deriva dell’etica nei nostri giorni. L’etica è il complesso delle norme morali e di comportamento proprie di un individuo, di un gruppo o di un’epoca. Che etica c’è oggigiorno? Ma soprattutto, esiste ancora?
Subito la mente mi è schizzata ai cartoni animati. Quando ero piccolo uno dei cartoon cult era Holly e Benji. A parte tutte le considerazioni del cazzo che si possono fare sul fatto che il campo era lunghissimo e che una partita durava 10 puntate, una cosa è certa: era un cartone che possedeva un’etica. Trasmetteva valori sportivi di spirito di gruppo, d’amicizia, “e questa sfida senza vincenti fa due ragazzi felici e contenti”. Oggi ke cazzo di cartoni ci sono. Yu-gi-oh per esempio, dove l’idea di fondo è: io sono il più forte e vinco e gli altri sono delle merde. Ovvio che anche Holly era un vincente, ma non lo faceva pesare agli altri. E comunque anche uno sfigato come Bruce Harper poteva avere il suo momento di gloria. Tutti si sentivano parte di un tutto e se si perdeva pazienza, sarà per il campionato dell’anno prossimo.
Mi sembra che oggi si porti avanti l’ideale del vincente a tutti i costi. Bisogna avere successo, sfondare, farsi vedere. E vai quindi con Grandi Fratelli e programmi che ostentano visibilità. Secondo Berlusconi poi dovremo essere tutti imprenditori. Ma non è possibile. Su 10000, per buttare là una cifra a caso, uno risulta imprenditore, vincente. E poi se no chi è che lavora, i cinesi? Fra un po’ ci mangiano la pastasciutta sulla testa (o meglio il riso).
Il lavoro. Già. Anche li mi sono accorto del cambiamento di etica. Quando lavoravo in Olis (fabbrica di cucine e grandi impianti, n.d.r.), parlando con i vecchi operai avevo la sensazione che loro, coscienti si del fatto di avere un piccolo ruolo, si sentivano comunque parte di un tutto. Se la fabbrica andava bene, era anche merito loro. I giovani invece se ne sbattevano il cazzo. Facevano quel lavoro di merda perché, quando dovevano, non avevano voglia di studiare e ora qualcosa dovevano pur fare per campare. Anzi, più che per campare, per prendere i soldi per poi comprarsi il golf, convinti che quello li avrebbe resi migliori, o se non altro più fighi, visibili, vincenti.
Insomma secondo me si è persa l’essenza de: l’importante è partecipare. La partecipazione è il prendere parte a un’attività collettiva, sia semplicemente con la propria presenza, sia contribuendo al compiersi dell’attività stessa. Non è quindi uno svilimento, una condanna, come si pensa oggi, ma una presa di coscienza del proprio ruolo. Bisogna mettersi nella testa, come ho accennato già prima, che pochi sono (sono? Lo sono veramente? Qui si potrebbe aprire una bella parentesi sulla meritocrazia, ma non ho voglia), o comunque possono essere, vincenti. La maggior parte invece no. Però c’è, esiste, e ha comunque un ruolo. Non può vincere come singolo ma può risultare vincente come collettivo. Faccio un lavoro umile, ma ci sono e do il mio contributo. Invece oggi con l’idea che l’importante è vincere, si crea frustrazione. Faccio un lavoro umile e sono una merda.
E questa secondo me è anche una mossa politica, perché una persona cosciente del proprio ruolo è una persona che pensa. E una persona che pensa è cosciente di fare parte di un collettivo. E un collettivo che pensa è pericoloso per i potenti. Ecco perché ci ubriacano col vincere a tutti i costi. Perché lo Stato (o chi per lui, mafia, corporation, mercato in generale) vuole persone frustrate, alienate, merde insomma, facili da manipolare. Teme invece le teste pensanti, il collettivo con coscienza critica.
Ecco perchè il detto “l’importante è partecipare” ha un’accezione tutt’altro che negativa. Non per niente anche il grande Giorgio Gaber cantava: “la libertà è partecipazione”.

22 novembre 2006

LA VITA E' TUTTA UNA STORIA

Puntata n°2

"La Via Nascosta. Ovvero: del come si parte pieni di ragione con un discorso, per poi rendersi conto di essere a propria volta causa della propria infelicità"

L'uomo che si arrampicava con l'automobile lungo il fianco della collina cantava. Probabilmente un pò brillo. La giornta non era stata delle più entusiasmanti (poco lavoro, un giro al mercato tanto per tirare il primo pomeriggio e un paio di ore scazzate e inconcludenti con una vecchia amica che di lasciarsi andare prorpio non ne voleva sapere) per cui la prima parte della serata era andata inevitabilmente a frantumarsi in una bevuta di rimedio alla noia con quattro amici che non vedeva da tempo. A tratti gli sembrava di sentirsi quasi vivo, ma sapeva che era solo il ricordo di tempi migliori che quella compagnia riusciva a riesumare a dargli quella sensazione. Per cui non ci volle molto prima che la nostalgia si trasformasse in tristezza, la tristezza in paranoia, la paranoia in silenzio, e il silenzio in un'auto che arranca stanca sui colli per portare -è presto, troppo presto- il suo padrone a casa. Ma non è poi così malinconica come può sembrare. (Parlo della situazione, non della casa!Quella, malinconica, lo è di sicuro!) A far sì che le circostanze non lo schiaccino è la certezza di avere a disposizione una via di fuga che un giorno riuscirà a scovare e a prendere, abbandonando tutto il grigio dietro di se portando con stile una mano all'interno del gomito dell'altro braccio nell' inequivocabile gesto dell'ombrello. Il caldo all'interno della cucina quasi lo stordisce. L'odore di burro fuso e l'aria satura di umdità. Suo fratello è lì che beve il caffè della sera appoggiato al lavello.
"Mamma è papà sono fuori. Bisogna che ti arrangi." gli dice. "Ci sono un paio di bistecche in frigo."
L'uomo fa per aprire la dispensa. "Non ci sono funghi." gli fa presente il fratello".
"Che palle. Volevo farmele col formaggio fuso e i funghi! Si vede che allora saranno alla pizzaiola!"
Nel prendere in mano la padella sporca si accorge che pure il fratello aveva avuto la stessa idea.
Cubetti di formggio con lato di circa cinque centimetri, salsa al pomodoro e le scalppine gli vengono decenti anche se si era dimenticato di tuffarle prima nella farina.
Ora mangia mentre il fratello mette via le stoviglie che aveva usato.

"Dove sono andati?"gli chiede.
"Chi?"
"Mamma e papà, poi!"
"Ah! A Padova!"
"A trovare Franco?"
"Già."
"Ma non dicono sempre di non sopportarlo più?!"
"Và a sapere..."

"Franco se la passa bene, maledizione..."
Il fratello legge qualcosa nei suoi occhi. Ma non ha capito bene dove sta il problema.
"Ma va là!"
"Ma va là cosa?"
"Anche se Franco ha fatto i soldi non vuol dire che stia meglio di noi."
"...cosa...?"
"Sì, insomma. Sai che adesso ha aperto un'altra fabbrica di dolci? Gli affari gli rendono bene!E le sue figlie si sposano tutte e due tra qualche mese."
"Contente loro...". Si ricorda di certi giochi che faceva con loro quand'erano piccoli. E, anche se non le vedeva da anni, il fatto di sapere che stavano per sposarsi gli mettenva angoscia.
"Il tempo scorre molto più velocemente di quello che ci rendiamo conto."
"Già! Ma alla fine muoriamo tutti alla stessa maniera. Quello che abbiamo messo insieme non conta più."
"Che vuol dire?"
"Che è inutile star lì a pensare di racimolare macchine e case, fare i soldi o cose del genere. Tanto quando crepiamo resta tutto qui! Che tu sia ricco o povero, non fa differenza: sempre morto sei."
L'uomo è un pò sbalordito. Non si aspettava che il fratello la vedesse in quel modo.
"Bhè...è quello che penso anch'io, lo sai."
"Già. Infatti io non mi preoccupo di darmi da fare più di tanto. Il lavoro è solo un mezzo per sopravvivere. La mia vita è un'altra." Una lampadina si accende nella mente del nostro amico. In realtà è quasi un faro da stadio.
"Ah sì? Ma scusa: quante ore di officina ti fai in una settimana. Tanto per sapere." "Dunque....nove al giorno...per cinque giorni...più quattro il sabato mattina...calcola qualche straordinario...una cinquantina..."
"E quante ore dormi la notte?"
"Bhè....almeno otto . Sono sempre molto stanco."
"Tieni conto che devi mangiare, lavarti, dare delle commissioni e cose di questio tipo...quanto tempo ti resta?"

Il fratello ci pensa su.
"...poche..."
"Già! E quella è la tua vita? E quanto guadagni?"
"Circa 1000 euro al mese."
"E che ci fai con 1000 euro?"
"Non molto, a dire il vero."
"Dici che il lavoro non è la tua vita, ma mi pare che la maggior parte della tua esistenza la passi a lavorare! E ti fai il culo! Per un pugno di mosche!"
"Bhè: è così."
"E' così."
"Ma è così per tutti."
"Lo so. E' quello che mi preoccupa."
"Ma neanche penasare solo ai soldi va bene. Come ti ho detto, alla fine muoriamo tutti alla stessa maniera."

"Già. Quindi la vita non ha uno scopo."

"Oddio. Sì...cioè....no....non lo so...."

"In realtà hai più ragione di quanto tu possa immaginare. La vita non ha uno scopo!"
"E allora che senso ha?"
"Non ce l'ha un senso. Come hai detto tu alla fine si muore. C'è chi crede in un Pardadiso, ma in realtà è solo una fantasia che serve a giustificare un'esistenza grama. La vita non ha scopo!"
"Ma se è così allora che viviamo a fare?Perchè mi faccio il culo?"

"Ho detto che non ha uno scopo, ma non che non sia una cosa che non vale a pena di fare. Parlo del vivere. Il fatto è che sbagliamo a individuarne la vera essenza."

"Cioè?"

"Cioè ci preoccupiamo tanto di raggiungere degli obbiettivi, di avere uno SCOPO, per lo più imposto dai canoni sociali, ma in realtà è solo un affanno lungo e doloroso che finice poi sottoterra col nostro cadavere! A pensarci vien male, ma è solo perchè in realtà, semplicemente, non abbiamo centrato il nocciolo della questione."

"E quindi? Se la vita non è raggiungere degli obbiettivi allora che cos'è?"
"La vita è sè stessa. Quello che è importante non è quello che sei quando hai raggiunto il capolinea."
"E allora cos'è importante?"
"Prova a dirmelo tu."
"Star bene?"
"Ovvio, ma è troppo generico. Non aiuta."
"La salute!"

"Siamo sempre lì."

"L'amore" "Troppo specifico."
"E allora non so!"
"Bhè.Te lo dico io qual'è la cosa importante della vita!"

"Che cos'è?"

L'uomo pensa un attimo al suo passato fatto di routine, lavoro, l'università fallita, amici, le ragazze mai avute,i bar, sempre gli stessi luoghi, stesse facce, stesse storie. Dà un'occhiata al futuro. Non si sente soddisfatto. Un senso di vuoto lo agguanta. E stretto in quella morsa la vede. Vede la via. La via di fuga . E si spaventa. Si spaventa a morte. L'ha trovata. Ha trovato la via. Ha trovato la via e ora ha paura. Ha paura perchè sa che ora dovrà affrontarla. E dovrà farlo presto se non vorrà stare tutta la vita a contemplarla e a marcire lentamente lì. All'imbocco della salvezza. Quell'imbocco che è nascosto a molti dei suoi simili, e che molti altri invece percorrono senza saperlo. Lui ce l'ha davanti e ne è consapevole. E ha paura a muovere il primo passo. E in quel momento si disprezza per la sua vigliaccheria.
Ora non può più prendersela con le circostanze che gli impediscono di capire perchè la soluzione ce l'ha in mano. E ora ha paura perchè sa che da quel momento in poi dipenderà tutto da lui.
"E insomma? Qual'è la cosa veramente importante della vita?"

L'uomo fissa il muro bianco davanti a sè e si sente meno sicuro di un attimo prima.

"E' il percorso..." sussurra.


Pighe

20 novembre 2006

Vago nella Percezione dell' Inconsistenza (Lunedì)


E' lunedì. Si, è lunedì. Che strano giorno che è il lunedì. Un capolinea per gli svalvolati. "Odio i lunedì" canta Vasco. "Thanks God it's Monday" cantano i NOFX. Odi (plur. odio) al lunedì. Odi (poesie) al lunedì. Il lunedì, un capolinea ma anche un punto di ripartenza. Ripartenza il più delle volte forzata. Si va al lavoro, o a scuola, o all' università, o qualcosa si deve pur fare. La testa è costretta a ricominciare a funzionare. La fine settimana è terminata, un'altra arriverà. Ma non oggi. Oggi è lunedì.
Mi sveglio e penso. Cerco di ricostruire cosa ho fatto i tre giorni precedenti. Mi ritorna qualche flash, degli highlights. Come per esempio la chica bassissima che ho beccato sabato sera, alla quale volevo dire "sei così bassa che a Gardaland ti fanno entrare gratis!". Ma credo che non l'avrebbe capita (già...).
Altre idee si sovrappongono. Il teatro, la clase de historia del cine que tengo esta tarde a las cinco, e mi viene un'idea. Cinema vs Teatro = Incidere un disco vs Suonare dal Vivo. Interessante. Effettivamente non ci avevo mai pensato. L'attore cinematografico può rifare la parte quante volte vuole, e recita senza pubblico, come il musicista in studio di registrazione. Mentre l'attore di teatro deve avere l'appeal con il pubblico, come il musicista dal vivo. E bla bla bla.
"Un idea, un concetto, un'idea, finche resta un'idea è soltanto un'astrazione" cantava Gaber. Già. Un'astrazione. E penso che è pazzo colui che crede che il pensiero si possa scrivere su un pezzo di carta (o pubblicare sul post di un blog). Il mio stesso pensiero è a me inconcepibile, incontrollabile, incontenibile. Se così non fosse sarei Dio e tutto sarebbe compiuto. Invece quanto più mi addentro nei meandri della conoscienza, meno comprendo... e la cosa sinceramente è alquanto frustrante. Tutto è effimero e transitorio. Vago nella Percezione dell'Inconsistenza (come sono autoreferenziale, mi autocito... che egocentrico di merda).
Poi penso che se sapessi tutto, se fossi Dio, sarebbe una gran rottura di coglioni. Tutto già conosciuto, confezionato, preimpostato... non mi passerebbe un cazzo. E che palle! La percezione richiede impegno si, ma è questo che la rende affascinante. Frustrante a volte, però soddisfacente. E bla bla bla.
E poi penso che è lunedì. "No se donde vivo, no se que ora es, no se si es mañana, o todavia ayer" cantavano i Piperrak in Kualkier Dia. Ma non è un Kualkier Dia, un giorno qualunque.
E' LUNEDI'.

19 novembre 2006

Tedio Domenicale

Oggi è domenica pomeriggio, il più lungo e vuoto della settimana. Il più noioso, almeno per me.
Macchè relax. Che riposo. Non traggo alcun giovamento da quest'oasi di pace forzata che è il pomeriggio della domenica. Riposo forzato. Tedio domenicale: quanta droga consuma...tedio domenicale, quanti amori frantuma...cantava Lindo Ferretti prima di rincoglionirsi del tutto e andare da Ferrara ad abiurare la sua fedeltà alla linea in favore della CEI...Quand'ero piccolo di domenica pomeriggio non c'erano i cartoni in TV, percepivo un'aria strana e un pò differente. Noia pura distillata dalla calma e dall'assenza. Morir di noia di domenica pomeriggio. Pure leggere m'inquietava, io che son compulsivo e almeno un libro alla settimana me lo devo leggere sennò sto male. Cresciuto, la domenica pomeriggio era per me l'anticamera del lunedì. Grigio e gelido rientro nelle pratiche scolastiche. Agli spaventosi compiti di matematica che invariabilmente andavano male (ovvio: non studiavo) e tutt'ora sogno con vago sgomento. Tedio domenicale, sensazione di aver consumato un'altra settimana con la consapevolezza che tutto sia inalterato, cristallizzato attorno a un presente immutabile. Lento e viscoso scorrere del tempo. Eternità statica e vetrosa, una pianura di cocci. Ma torno subito al presente, alla TV che scandisce i giorni, buona domenica calcio e noia, noia e marciume catodico. Non mi paice la domenica pomeriggio,a nche sprofondato tra le pieghe di carne morbida e dolce a tratti fitte d'inquietudine, finitezza mia personale o disagio più completo?
Tedio domenicale...

16 novembre 2006

Rottura Spontanea di Simmetria

Girovi QUI il link al racconto di un caro amico fisico e letterato,
"Rottura spontanea di Simmetria" perlappunto.

Certo di farvi cosa gradita,

vi saluto e vado a pulire il gabinetto.

15 novembre 2006

La BESTEMMIA Secondo ELIA

La Bestemmia. Posso garantire che è una cosa che mi ha sempre affascinato. Si affascinato. Per molteplici motivi. Primo fra tutti perché, in un paese cattolico come il nostro, da un'inchiesta risulta che l'87% delle persone BESTEMMIA! E’ stupefacente.
Personalmente non sono un gran bestemmiatore (o forse si… nooooo). Sono cresciuto in una famiglia nella quale mai si è bestemmiato dentro le mura domestiche e mai mi sono permesso di farlo. Però ci sono situazioni e luoghi in cui ci sta bene. Quando sono veramente incazzato, un bel p#rc# dio non fa che rafforzare la mia incazzatura; quando qualcuno racconta qualcosa di sconvolgente un bel dio c#n rafforza in maniera più che convincente lo stupore.
Ci sono poi le situazioni ad hoc. Ad esempio l’ubriaco di turno nel bar di paese ci risulta quasi oltraggioso se non infarcisce il suo turpiloquio con delle bestemmie. Primo perché sarebbero le uniche parole comprensibili e poi gli sono fra l’altro necessarie nella sintassi, come punteggiatura e per meglio organizzare i pensieri offuscati dai fumi dell’alcool.
Non sono sicuro ma già da questi esempi si evince quale idea di fondo accompagni il mio ragionamento: non è la bestemmia in se che va condannata ma ciò che sta dietro alla bestemmia.
E’ divenuta un intercalare così diffuso che lo si accetta passivamente. Per qualche genitore, persino, è divenuto sintomo di crescita, di maturazione dei propri figli. E si fa a gara a chi bestemmia di più, a chi trova le espressioni più blasfeme, che si pubblicizzano ora anche nei siti internet.
Non bisogna abusare della bestemmia, utilizzarla con grano salis perché alla fine è come una droga pesante (e sottolineo pesante) che porta alla dipendenza: bisogna farne un uso intelligente per non venirne sopraffatti. Una droga strana perché non lascia postumi su di noi quanto sugli altri. Va a toccare le sensibilità. Si insulta il dio in cui credono milioni di persone, non è una cosa da poco. Quindi, come è preferibile non proiettare film porno sui megaschermi pubblicitari nelle città, non bisogna bestemmiare dove si potrebbe offendere qualcuno. E ci vuol poco a capire quando è meglio non bestemmiare. E’ una questione di stile, o meglio, di grazia, nel senso più puro della parola.

TOKYO: un gioco, molte varianti

Tokyo è uno di quei giochi per grandi comitive che vanno nei pub, dove si finisce sempre che si parla con le persone vicine e si ignorano quelle all'altra estremità del tavolo. Tokyo non risolve questo classico problema, anzi lo acuisce. Infatti finchè i dadi sono lontani potete tranquillamente fregarvene di come il gioco evolva. In questo modo si ha la possibilità di fare ciò che normalmente si fa nei pub (e cioè bere, fumare e scambiare quattro chiacchiere con gli amici) senza essere infastiditi da un gioco troppo intrusivo.


Regolamento
Si può giocare anche in due, ma vi sconsiglio vivamente di scendere sotto i quattro (meglio cinque) giocatori. L'ideale resta comunque la comitiva di 10/ 20 persone. Sono necessari due dadi con il relativo shaker (opzionale, il palmo della mano va benissimo), un foglio e una penna. Si sorteggia nel modo che preferite chi lancia per primo e poi si procede in senso rigorosamente antiorario: è necessario per la corretta riuscita del gioco (mah...). Il giocatore che ha effettuato il lancio guarda il punteggio ottenuto senza farlo vedere agli altri e poi copre i dadi col bicchiere. In questa fase evitate di muovere lo shaker con dentro i dadi da un punto all'altro del tavolo: rischiate di alterare il risultato ottenuto (se pensate che vi abbia preso per dei dementi, aspettate di provare il gioco e poi ne riparliamo). A questo punto il giocatore dice ad alta voce il punteggio totalizzato ed è libero di mentire. Il turno passa a chi è alla sua destra. Questi può credergli o meno: A) Se non gli crede si scoprono i dadi: se il punteggio dichiarato era vero, chi ha dubitato riceve una penalità, se era falso a ricevere la penalità sarà chi ha mentito. B) Se gli crede effettua il lancio ed è costretto a ottenere un risultato maggiore o almeno uguale. Anche lui è libero di mentire o meno sul risultato. Chiaramente, se otterrà di meno non ci penserà due volte a mentire. Bisogna vedere se lo farà in modo convincente per il giocatore alla sua destra. Il gioco procede sempre in questo modo. I giocatori accumulano delle penalità finchè vengono espulsi. Vince chi rimane in gioco per ultimo.

E veniamo al meccanismo delle penalità.
Ad ogni giocatore è associata una bomba a orologeria, pronta a esplodere dopo che tutte le tacchette dell'orologio di countdown sono esaurite. L'orologio è schematizzato con un segno + e un segno x sovrapposti, a formare una specie di stella a otto punte, che naturalmente sarete voi a disegnare sul foglio di carta. Si parte da mezzogiorno e si procede in senso orario, marcando via via le stanghette con un pallino (una stanghetta per ogni penalità). Esaurite le otto tacchette rimane un'ultima possibilità: un'altra penalità e la bomba esplode, eliminandovi dal gioco. A questo punto qualcuno si starà chiedendo il motivo del nome Tokyo.

Calcolo del punteggio.
Si considera il dado col risultato maggiore (vince il più alto); a parità di questo, si considera l'altro (cinque- tre batte cinque- uno). Le coppie valgono più di tutti gli altri risultati (quindi uno- uno batte sei- cinque) e ovviamente le coppie di valore più alto prevalgono (quattro- quattro batte due- due).
Ci sono delle eccezioni: il punteggio più alto in assoluto è Tokyo (tre- uno), quello più basso in assoluto è Pechino (due- uno). Però, come spesso avviene nella vita, i più potenti cadono sorprendentemente con i più deboli, e così Pechino, che viene battuto da qualunque punteggio, prevale su Tokyo.

Devo dire che l'ultimo paragrafo mi ha lasciato un pò perplesso...

14 novembre 2006

LA VITA E' TUTTA UNA STORIA. PIGHE INSEGNA CON LE FAVOLE

Puntata n°1

"Il Padre ottuso e il Figlio saggio. Ovvero: Come i conflitti generazionali possono portare ad un ribaltamento dei ruoli tra padre e figlio"


Padre e figlio se ne stanno seduti in salotto.
Il primo sulla sua poltrona-trono davanti alla televisione accesa, mentre l'altro occupa il divano in una posa svaccata da triclinio romano.
Entrambi hanno l'aria di aver passato una giornata totalmente inutile, o almeno questo è quello che traspare dalle loro facce scazzate. Nella stanza il calore quasi soffocante della nuova stufa a legna (che costituisce l'unico argomento di conversazione e preoccupazione da un mese a questa parte) si unisce al bla bla blasfemo della voce dell'Emilio Fede Nazionale (direzione e conduzione del Tg più super-partes del Paese) con l'effetto di un micidiale mix narcotico-anestetico che riduce i due a delle masse molli di carne accasciata sulla propria (para)noia. Privi di argomenti. Sia in testa, che nella bocca.
All'improvviso la Coscienza del Figlio si risveglia.
Il servizio parla della revisione della penalizzazione del consumo droghe. A quanto pare il governo Prodi ha intenzione di ridefinire i termini legali che distinguono lo spacciatore dal consumatore, in termini di "dose per uso personale".
Sembrerebbe che vogliano depenalizzare la cannabis.
"Sarai contento, no? Adesso potrai fumarti tutte le cane che vorrai" sibila il Padre dalla sua postazione.
"Era ora che il Governo facesse finalmente qualcosa di sinistra. Almeno non l'ho votato proprio per nulla." risponde distratto il figlio.
"Non sapevo che avessi votato Prodi. Mi sembrava che non ti piacesse più di tanto"
"Infatti ho votato quelli là" replica il Figlio accennando col mento alla figura che ora sta comicamente duettando sullo schermo con Fede. Si tratta di un rappresentante del Partito Radicale. Non Fede! Quell'altro! "Anche se sapevo che il voto finiva comunque a Prodi. Piuttosto che andare avanti col Berlusconi..."
"Bhè, bhè! Uno o l'altro, è lo stesso." interrompe stoicamente il Padre.
"Alla fine sì, ma allo stesso tempo non mi va di lasciare che le cose accadano senza che io possa in qualche maniera dar voce alle mie idee. Il Voto è uno dei pochi diritti che ci sono rimasti e c'è gente che è morta per ottenerlo."
"Ma tanto non cambia niente"
"Bravo! E' proprio questo che vogliono! Che ci rassegnamo ad accettare le cose per come vengono, privandoci del nostro senso di responsabilità."
"Ma cosa stai dicendo?".
"Vogliono annullare la nostra individualità! Ti danno il diritto al voto, e poi ti fanno sentire come se non ciò non contasse nulla. Cambia il Governo , ma la merda che mangiamo resta sempre la stessa. Al massimo viene un pò rimescolata, cambia colore o sapore, ma sempre merda rimane.
E allora, a forza di mangiarne , ti rassegni al suo sapore e perdi interesse nelle cose. Perchè sai che non potrai fare nulla per cambiarle!"
"E allora vedi che è inutile starci a pensare su?"
"Ma non va bene un cazzo, invece! Andando avanti così chi ci governa si prenderà sempre più libertà, a spese nostre! Tu non sei andato a votare, vero?"
"Per fare che?Ti ho già detto come la penso."
Il padre continua imperterrito a guardare la televisione. Il Tg4 è finito. Adesso Fanno vedere una cosa tipo Verissimo, uno di quei programmi idioti in cui ci si fa i cazzi dei vips. Stasera si parla di Totti e della sua nuova puttana. Che magari poi puttana non lo è, ma per il Figlio tutte quelle cretine che passano davanti ad una telecamera ballando e starnazzando come delle fottute oche in calore sono delle putane!
"E poi cazzo, papà! Ma non ti accorgi di che programmi di merda?! La gente finisce poi per interessarsi a tutte queste cazzate invece che al proprio destino"
Adesso sul monitor c'è Elisabetta Canalis che sculetta.
"A guardare queste cose uno si rilassa. Dopo una giornata di lavoro."
"A me viene la pelle d'oca! Altro che rilassarsi! Ti ricoglionisci e basta, con questi programmi patetici! Dovrebbero vietare la tv-spazzatura. Che in Italia sarebbe come dire chiudere tutte le trasmissioni. Stop. Basta Stronzate! Basta con questi mezzi per tenerci tutti nell'ignoranza..."
"Bhè! Almeno la televisione non fa male. Le cane invece sì. E poi smettila di venire qui a cercare di imporre le prorpie idee. Guardati Tutto in Famiglia con noi e stai zitto, e sennò vai da un'altra parte a rompere i coglioni!"
A chiunque da fastidio essere nel sonno (della Ragione, in questo caso).
"Ancora con questa storia delle canne, Padre! Ti ostini a rimanere sulla tua!"
"Fanno male e basta!"
"In base a cosa lo dici?"
"Ne parlano tutti i giorni."
"Dove?"
"In Televisione!"
"La televisione! Ancora! E tu invece cosa ne sai? Per esperienza diretta, voglio dire!"
"Ma se hanno fatto un servizio l'altro giorno!"
"Ok! Ma TU cosa hai visto con i tuoi occhi? Cosa ne sai di queste cose? Io ci ho avuto e ci ho ancora a che fare, e le ho tastate sulla mia pelle."
"Tu ti sei solo sballato a fumare le cane. Adesso dici che non fanno male! E tra un pò, quando passerai alla cocaina e all'eroina dirai che anche quelle non fanno male! Guarda che lo dicono tutti che si inizia con le canne e poi si arriva lì"
"Però! Ti hanno insegnato bene lo slogan! E il fatto che tu la pensi così dimostra quanto sei male informato! Se credi davvero che un giorno arriverò a farmi, dovresti essere molto più preoccupato per me! Si vede che non hai la minima idea della differenza che c'è tra l'una e l'altra cosa!"
"Tutte e due danno dipendenza!"
"Ma che cazzo ne sai? Ma chi te lo dice? Ti sembro un droga-dipendente?"
"Non mi sembri come uno dei film, ma si sa che nel cinema esagerano sempre!"
"Giusto. E quindi tu ti basi sulla ricostruzione cinematografica per conoscere le realtà che non sono a portata di mano. Tenendo in considerazione il fatto che nei film sono solo Un pò più esagerati?"
"Ohè! Ma per chi mi hai preso! Ho visto anche un servizio di una ricerca che hanno fatto in America nel Laboratorio X su Tot giovani. E hanno dimostrato che fumare le cane ti porta alla depressione. E non mi pare che tu sia molto contento! Hai sempre il muso!"
"Magari sono giù di mio! Magari ho il muso perchè vedo che attorno a me la gente non capisce un cazzo e si fa riempire il cervello di assurdità. Mi sento come un alieno. O come Neo di Matrix. Sono SVEGLIO, Padre! Penso con la mia testa e non mi bevo tutto il latte rancido della vacca catodica!"
"Eh! Tu ti fumi troppe cane e basta. E' solo lì il problema. Senti che discorsi contorti che fai!Se riesci a smettere vedrai che starai meglio e non ti sentirai più depresso!"
"Ah sì? Allora se è vero che le canne causano la depressione tu allora te ne devi fumare davvero una cifra di nascosto! Perchè sennò mi pare impossibile che una persona che dalla vita ha avuto tante belle cose, sia ridotto ad uno straccio come sei tu con le sue sole mani!"
Il Padre ammutolisce e il Figlio capisce di averla detta un pò troppo pesante. O forse è pesante perchè è la verità? Certo è che la tensione la si può quasi toccare con mano.
"Vatti a fare una cana, e lasciami guardare il Quiz. E quando scendi in camera tieni basso il volume di quella cazzo di chitarra che tua madre dorme."

Cosa insegna questa prima storia de "La Vita è Tutta una Storia"
Lasciamo spazio ai vostri commenti

P.S.: la presente fabula è liberamente tratta dalla realtà. Cose del genere accadono solo nei film. Cioè: ci assomiglia alla realtà, ma è solo un pò più esagerata.E la musica psichedelica che sto ascoltando (sono i Can, sperimentatori degli anni '70 che campionavano e distorcevano suoni e rumorie che a Syd Barrett gli fcevano una sega) di certo non mi aiuta ad essere pacato nei toni. Senza tenere conto, poi, delle
cane che mi incasinano il cervello!

'Fanculo ai Benpensanti, ai Teledipendenti e ai Fighetti

Pighe





07 novembre 2006

L'atavica inconsistenza dell'essere (Paduan Spleen)

Scrivo dalla reception di un lussuoso quanto spettrale albergo..sparluccicante e high tech nella prima periferia urbana, tra uno svincolo e le sagome cadenti di edifici nella nebbia..mi aspetta una lunga nottata in compagnia dei miei fantasmi, ammesso e non concesso che abbiano voglia di venirmi a trovare. La rai balbetta idiota dalla TV nella hall. Automobili e traffici inquieti, fuori nella notte umida. Fuori è la notte chiomata di muti canti, pallido amor degli erranti...fuori sono pure io che picchietto alla tastiera le spirali pigre dei miei pensieri. E' tutto così surreale, penso a volte. Mentre pedalo sull'argine all'alba tra nebbie dense e rami neri, quando il mondo perlopiù russa ed emerge il volto della città velato di folla dal giorno. Pazzi inseguiti da presenze invisibili, un esercito di badanti camerieri pusher manovali operai rigorosamente immigrati che barcollano nel freddo verso un futuro incerto precario lavoro...
Sembra un film di Fellini penso mentre costeggio esistenze intangibili, moderni paria come i TRans che sostano vicino alla fiera mostrando cosce e pacchi insieme alle loro colleghe transeuropeesudamericafricane...
E ancora, di colpo i falò dei tossici negli angoli bui dietro ai palazzi eleganti, appesi quasi per sbaglio alla vita, di pera in pera un passo più vicini all'abisso.
Gli studenti ignari e pasciuti, le porsche ammassate ai bordi delle strade eleganti, le luminarie che non scacciano la nebbia fitta e le sbarre sottili della pioggia insistente.
E' l'eco di passi invisibili che mi tormenta a volte, ricordi di cupi rimbombi tra le volte del mio cranio. E mi perdo tra anguste teorie di portici che si susseguono nel buio, tirando sorsi a caso dall'enesima bottiglia.
A volte davvero non so che dire, fare o pensare , innanzi al volto scarno della realtà, che ghigna e non sorride, beffardo e duro come asfalto.

(foto di Stephanie Violette)

06 novembre 2006

Il Post-o Delle Cazzate

Quante volte si sente dire che noi giovani d'oggi abbiamo tutto e per questo siamo demotivati, senza ideali e obiettivi. Diciamoci la verità, un pò è vero. Se mi pongo la domanda tipo cosa voglio fare dopo l'università o qual'è il mio obiettivo, sinceramente non so rispondere. Ma se c'è una cosa che so è questa: sono estremamente permeabile alle cazzate.
Mi piace si parlare di cose serie, argomenti filosofici pregni di contenuti escatologici, però, è più forte di me, ad un certo punto devo inserire una battutina o sparare una cagata. Sempre. E questo anche quando parlano gli altri, cagionando delle giustificatissime irritazioni nel prossimo (mi incazzo tantissimo pure io quando sto facendo un discorso e uno mi interrompe con una cazzata... solo io posso farlo!!!!)
Sono pazzo? Forse si, ma non è questo il punto. Tenendoci a precisare che credo in quello che ho scritto finora, queste poche righe sono qua solo per occupare spazio. Questo è il "post-o delle cazzate" (scusami Ingmar per l'orrenda citazione), dove si può scrivere quel che si vuole, basta che non sia serio.
Perchè i soldi servono si, ma l'importante è ridere e sparare cagate (che è forse la vera essenza dell'italianità).

Etichette:

03 novembre 2006

Misoginia

La Misoginia non è altro che l'avversione morbosa nei confronti delle donne. Se tralasciamo la morbosità (che presuppone un'intensità eccessiva, quasi patologica) io credo di potermi definire misogino. Odio le donne per quello che fanno e dicono, per il loro modo di stare al mondo. Provo nei loro confronti un senso di indignazione, di vivo risentimento, di sdegno che, senti come mi esprimo, mi fa quasi risultar aulico e poetico. Forse perchè io reagisco a questo tipo di indignazione senza arrabbiarmi. Ma non perchè non voglia, ma perchè non ne ho la forza. Sono quasi disarmato dallo sdegno e quindi, paradossalmente, tranquillo.
C'è però il rovescio della medaglia. Ad ogni azione forte, importante come l'odio, si oppone una reazione. Nella scala dei sentimenti credo che l'odio stia da una parte, quella diciamo negativa. La sua forza uguale e opposta, dalla parte diciamo positiva, credo si possa definire amore. Un sentimento invece come la cortesia sta si dalla parte positiva però nel mezzo, senza infamia senza lodo. Non presuppone quindi per forza una reazione. L'odio invece si. Ha una potenza tale che l'essere umano non può sopportarla a senso unico.
Ecco perchè sono convinto che una persona che odia debba tenere dentro di se anche un grande amore. Ed ecco perchè sono convinto che un misogino ami profondamente le donne.