L' IMPORTANTE E' PARTECIPARE
Camminando per Madrid una mattina mi sono imbattuto in un manifesto che pubblicizzava una bevanda energetica. Lo slogan si può tradurre in italiano è + o – così:
"Chi ti dice che l’importante è partecipare non ha mai vinto niente".
Devo dire che la frase mi ha fatto molto riflettere, perché è sintomatica della deriva dell’etica nei nostri giorni. L’etica è il complesso delle norme morali e di comportamento proprie di un individuo, di un gruppo o di un’epoca. Che etica c’è oggigiorno? Ma soprattutto, esiste ancora?
Subito la mente mi è schizzata ai cartoni animati. Quando ero piccolo uno dei cartoon cult era Holly e Benji. A parte tutte le considerazioni del cazzo che si possono fare sul fatto che il campo era lunghissimo e che una partita durava 10 puntate, una cosa è certa: era un cartone che possedeva un’etica. Trasmetteva valori sportivi di spirito di gruppo, d’amicizia, “e questa sfida senza vincenti fa due ragazzi felici e contenti”. Oggi ke cazzo di cartoni ci sono. Yu-gi-oh per esempio, dove l’idea di fondo è: io sono il più forte e vinco e gli altri sono delle merde. Ovvio che anche Holly era un vincente, ma non lo faceva pesare agli altri. E comunque anche uno sfigato come Bruce Harper poteva avere il suo momento di gloria. Tutti si sentivano parte di un tutto e se si perdeva pazienza, sarà per il campionato dell’anno prossimo.
Mi sembra che oggi si porti avanti l’ideale del vincente a tutti i costi. Bisogna avere successo, sfondare, farsi vedere. E vai quindi con Grandi Fratelli e programmi che ostentano visibilità. Secondo Berlusconi poi dovremo essere tutti imprenditori. Ma non è possibile. Su 10000, per buttare là una cifra a caso, uno risulta imprenditore, vincente. E poi se no chi è che lavora, i cinesi? Fra un po’ ci mangiano la pastasciutta sulla testa (o meglio il riso).
Il lavoro. Già. Anche li mi sono accorto del cambiamento di etica. Quando lavoravo in Olis (fabbrica di cucine e grandi impianti, n.d.r.), parlando con i vecchi operai avevo la sensazione che loro, coscienti si del fatto di avere un piccolo ruolo, si sentivano comunque parte di un tutto. Se la fabbrica andava bene, era anche merito loro. I giovani invece se ne sbattevano il cazzo. Facevano quel lavoro di merda perché, quando dovevano, non avevano voglia di studiare e ora qualcosa dovevano pur fare per campare. Anzi, più che per campare, per prendere i soldi per poi comprarsi il golf, convinti che quello li avrebbe resi migliori, o se non altro più fighi, visibili, vincenti.
Insomma secondo me si è persa l’essenza de: l’importante è partecipare. La partecipazione è il prendere parte a un’attività collettiva, sia semplicemente con la propria presenza, sia contribuendo al compiersi dell’attività stessa. Non è quindi uno svilimento, una condanna, come si pensa oggi, ma una presa di coscienza del proprio ruolo. Bisogna mettersi nella testa, come ho accennato già prima, che pochi sono (sono? Lo sono veramente? Qui si potrebbe aprire una bella parentesi sulla meritocrazia, ma non ho voglia), o comunque possono essere, vincenti. La maggior parte invece no. Però c’è, esiste, e ha comunque un ruolo. Non può vincere come singolo ma può risultare vincente come collettivo. Faccio un lavoro umile, ma ci sono e do il mio contributo. Invece oggi con l’idea che l’importante è vincere, si crea frustrazione. Faccio un lavoro umile e sono una merda.
E questa secondo me è anche una mossa politica, perché una persona cosciente del proprio ruolo è una persona che pensa. E una persona che pensa è cosciente di fare parte di un collettivo. E un collettivo che pensa è pericoloso per i potenti. Ecco perché ci ubriacano col vincere a tutti i costi. Perché lo Stato (o chi per lui, mafia, corporation, mercato in generale) vuole persone frustrate, alienate, merde insomma, facili da manipolare. Teme invece le teste pensanti, il collettivo con coscienza critica.
Subito la mente mi è schizzata ai cartoni animati. Quando ero piccolo uno dei cartoon cult era Holly e Benji. A parte tutte le considerazioni del cazzo che si possono fare sul fatto che il campo era lunghissimo e che una partita durava 10 puntate, una cosa è certa: era un cartone che possedeva un’etica. Trasmetteva valori sportivi di spirito di gruppo, d’amicizia, “e questa sfida senza vincenti fa due ragazzi felici e contenti”. Oggi ke cazzo di cartoni ci sono. Yu-gi-oh per esempio, dove l’idea di fondo è: io sono il più forte e vinco e gli altri sono delle merde. Ovvio che anche Holly era un vincente, ma non lo faceva pesare agli altri. E comunque anche uno sfigato come Bruce Harper poteva avere il suo momento di gloria. Tutti si sentivano parte di un tutto e se si perdeva pazienza, sarà per il campionato dell’anno prossimo.
Mi sembra che oggi si porti avanti l’ideale del vincente a tutti i costi. Bisogna avere successo, sfondare, farsi vedere. E vai quindi con Grandi Fratelli e programmi che ostentano visibilità. Secondo Berlusconi poi dovremo essere tutti imprenditori. Ma non è possibile. Su 10000, per buttare là una cifra a caso, uno risulta imprenditore, vincente. E poi se no chi è che lavora, i cinesi? Fra un po’ ci mangiano la pastasciutta sulla testa (o meglio il riso).
Il lavoro. Già. Anche li mi sono accorto del cambiamento di etica. Quando lavoravo in Olis (fabbrica di cucine e grandi impianti, n.d.r.), parlando con i vecchi operai avevo la sensazione che loro, coscienti si del fatto di avere un piccolo ruolo, si sentivano comunque parte di un tutto. Se la fabbrica andava bene, era anche merito loro. I giovani invece se ne sbattevano il cazzo. Facevano quel lavoro di merda perché, quando dovevano, non avevano voglia di studiare e ora qualcosa dovevano pur fare per campare. Anzi, più che per campare, per prendere i soldi per poi comprarsi il golf, convinti che quello li avrebbe resi migliori, o se non altro più fighi, visibili, vincenti.
Insomma secondo me si è persa l’essenza de: l’importante è partecipare. La partecipazione è il prendere parte a un’attività collettiva, sia semplicemente con la propria presenza, sia contribuendo al compiersi dell’attività stessa. Non è quindi uno svilimento, una condanna, come si pensa oggi, ma una presa di coscienza del proprio ruolo. Bisogna mettersi nella testa, come ho accennato già prima, che pochi sono (sono? Lo sono veramente? Qui si potrebbe aprire una bella parentesi sulla meritocrazia, ma non ho voglia), o comunque possono essere, vincenti. La maggior parte invece no. Però c’è, esiste, e ha comunque un ruolo. Non può vincere come singolo ma può risultare vincente come collettivo. Faccio un lavoro umile, ma ci sono e do il mio contributo. Invece oggi con l’idea che l’importante è vincere, si crea frustrazione. Faccio un lavoro umile e sono una merda.
E questa secondo me è anche una mossa politica, perché una persona cosciente del proprio ruolo è una persona che pensa. E una persona che pensa è cosciente di fare parte di un collettivo. E un collettivo che pensa è pericoloso per i potenti. Ecco perché ci ubriacano col vincere a tutti i costi. Perché lo Stato (o chi per lui, mafia, corporation, mercato in generale) vuole persone frustrate, alienate, merde insomma, facili da manipolare. Teme invece le teste pensanti, il collettivo con coscienza critica.
Ecco perchè il detto “l’importante è partecipare” ha un’accezione tutt’altro che negativa. Non per niente anche il grande Giorgio Gaber cantava: “la libertà è partecipazione”.
1 Comments:
Postilla...
La partecipazione, nelle società democratiche, è la facoltà del cittadino di intervenire direttamente o indirettamente, mediante l’esercizio del diritto di voto e di altri diritti che gli sono riconosciuti, nella vita politica e negli organi di governo del paese.
Ma ce l'abbiamo ancora questo diritto? Viste le ultime elezioni sembrerebbe di no.
Fate un giro su questo link e sconcertatevi...
http://www.beppegrillo.it/2006/11/reset_si_conta.html
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